“L’abbandono dell’orgoglio e dell’egoismo è il risultato di un alto grado di umiltà, ed è grazie all’umiltà che impariamo dalle lezioni della vita.
Essere umili significa anche essere capaci di ricevere ciò che la vita porta con sé. Spesso sperimentiamo sofferenza, sconfitta, spesso ci dobbiamo ritirare o ci sentiamo imbarazzati. Sono le implicazioni della vita. Anche quando la vita diventa difficile, quando ci sembra ingiusta, possiamo utilizzare le vicissitudini per imparare a far fronte alle difficoltà con dignità. Possiamo effettivamente cambiare e raggiungere un più alto livello di quiete. Quiete nel mezzo della confusione, nel mezzo delle difficoltà, quiete mentre soffriamo e ci lamentiamo. Questa quiete è una qualità della consapevolezza determinata dal rimanere testimoni del contenuto della mente, del contenuto della coscienza. Per riuscirci, dobbiamo uscire dal continuo flusso di pensieri che ci coinvolge in opinioni errate e attraverso il quale pensiamo a noi stessi in termini di io e mio.”
Achaan Thanavaro – Da cuore a cuore. Ubaldini ed., pag 12.
Ogni giorno ognuno di noi ha la sua dose di amarezza. Per esempio, diveniamo irritati dal traffico oppure dal ripetersi delle stesse parole, gesti, del proprio partner. Magari pensiamo “come sarebbe bella la mia vita se potessi semplicemente godermi le giornate…” o “quando arriva venerdì? quando arrivano le ferie?”. Praticamente, cerchiamo fin da subito di distanziarci, con il corpo, con le emozioni e con la mente, da quel pungolo spiacevole che ci ha colpiti.
Questa reazione, certamente ci porta dal lato opposto della nostra umiltà. Ma perché essere umili in una società dove l’arroganza o il dominio suscitano un maggiore fascino e certamente una più evidente utilità? Proviamo a fare il percorso di scoperta insieme.
Quando siamo umili, iniziamo ad accettare il lato spiacevole della nostra esperienza. Praticamente, non facciamo più finta di essere dei supereroi che non possono perdere. E questo è già un grande vantaggio. Semplicemente ammettere che qualcosa va storto è la condizione essenziale affinché possiamo prendercene cura. Se qualcuno ci pesta un piede, credete che sia utile far finta di non sentire dolore? Potrebbe essere adeguato in un film, ma non nella realtà.
Accettare che quel qualcosa di non bello c’è, apre la strada al passo successivo. Vedere che l’evento non è fuori di noi, è già dentro di noi. E investe il nostro corpo-mente con un treno di cascate emotive, associazioni, contrazioni muscolari. Per esempio, quel piede pestato diviene un dolore fisico, la spinta automatica a rimuovere il piede, la rabbia verso il disturbatore. Qui può nascere l’umiltà, ovvero la possibilità di mettere insieme la spiacevolezza degli eventi, il fatto che riguardino noi, l’accettazione che le cose stanno andando così adesso.
Ma Achaan Thanavaro ci parla di un passo ulteriore quello della quiete durante queste tempeste. A cosa si riferisce?
Non è certamente il tentativo di reprimere ciò che è emerso. Perché aggiungere una ulteriore lotta? Fa riferimento invece alla quiete spontanea della mente, quando è immersa nella meditazione. È possibile utilizzare la mindfulness, la semplice osservazione del corpo, delle emozioni e della mente, senza reagire al piede dolorante. Per chi è alle prime armi con questa pratica, certamente “aggrapparci” al sentire il respiro ci permette di non essere invasi dalle emozioni soverchianti, dai pensieri distruttivi che, invece, ci spostano in un meccanismo di risposta automatico e non voluto. Perciò, continuando a praticare, nota Thanavaro, anche le avversità, nutrite di umiltà e quiete mentale, possono essere integrate in un vortice positivo che ci sposta verso la libertà. La libertà dall’io-mio.