La mia pratica di meditazione ha vissuto dei forti cambiamenti negli anni, che sono giunti inattesi e mi hanno aperto nuove esperienze. Uno di questi momenti è avvenuto a Luglio 2017, durante un ritiro di mindfulness. È stato uno di quei momenti da cui non mi è stato più possibile tornare indietro e scegliere una direzione diversa, ma non è sorto sulla base della mia volontà.
Dopo alcuni giorni di pratica, insieme a circa un centinaio di persone, eravamo giunti ad un pomeriggio con una meditazione di pratica silenziosa. In molti erano seduti sul proprio cuscino, al centro della sala gigante in cui eravamo riuniti, e proprio come me tenevano all’orecchio almeno una delle cuffie nere tramite cui ricevevamo la traduzione dell’inglese degli insegnanti.
Nel bel mezzo di questo grande silenzio, osservavo la mia mente cercare di capire di cosa essere consapevole. La mente si chiedeva se era utile essere attento “al respiro o al tutto?”, “come posso percepire tutto?” e altri piccoli pensieri, e c’era una leggera tensione in me. Poi la conduttrice prese la parola per recitare una poesia di Rumi che suonava così:
“Il tuo dolore per ciò che hai perso solleva uno specchio
in alto fin dove stai lavorando con coraggio.
Aspettandoti il peggio, guardi, e invece,
ecco il volto gioioso che volevi vedere.
La tua mano si apre e si chiude e si apre e si chiude.
Se fosse sempre un pugno o sempre distesa e aperta,
saresti paralizzato.
La tua più profonda presenza si trova in ogni piccola contrazione ed espansione,
le due magnificamente in equilibrio e coordinate come ali d’uccello.”
Come una lancia sferzata nel cielo che lontanissima risplende all’occhio mentre si perde fra le nuvole, la mia consapevolezza vibrò notando qualcosa di nuovo. All’inizio fu come un traballare del mio corpo e della mente, senza capire cosa avevo notato. Poi divenne chiaro che cercando di diventare consapevole di qualcosa – qualsiasi cosa fosse – stavo ponendo me stesso dalla parte della mano chiusa, e cercando di non diventare consapevole di qualcosa – qualsiasi cosa significasse – stavo ponendo me stesso dalla parte della mano aperta. Ma in tutte e due io vedevo un fondo di dolore, come se apprezzando una nuvola in cielo scoprissi trattarsi di una nube tossica.
Provai un senso di disgusto verso ciò che avevo fatto per anni durante la meditazione. La mia mente pensava “come ho potuto fare questo senza accorgermene?”, accompagnato da un senso di distacco salutare nei confronti di qualcosa che mi stava facendo del male.
Negli stessi attimi comparve anche una chiarificazione che non c’era bisogno di alcuno sforzo per diventare consapevole, perché io ero già consapevole.
Mi accorsi della presenza di una forma di consapevolezza, che è diventata evidente da quel momento in poi, che non richiedeva sforzo alcuno, e che mi permetteva è sia nel mezzo fra la mano aperta e quella chiusa, sia accoglie liberamente la mano aperta (la consapevolezza senza oggetto o aperta) sia la mano chiusa (la consapevolezza con oggetto o focalizzata), senza esaurirsi in queste forme.
Da questa esperienza è scaturito un cambiamento del modo in cui propongo a me stesso e agli altri la pratica di mindfulness. Vivendo una grande trasformazione del senso della mia vita ho potuto portare un nuovo atteggiamento alle persone, incarnandolo ed esplorandolo nel tempo, tramite la comprensione diretta che noi esistiamo come quella coscienza che è non-separazione.