Con il sistema emotivo del Gioco concludiamo il percorso di scoperta dei sistemi primari che la natura ha posto nel nostro CervelloMente. Può essere fuori dalle nostre aspettative capire di essere nati con la disposizione a giocare: in effetti, gli adulti giocano molto meno dei bambini. Tuttavia, le attività giocose sono diffuse fra tutti i mammiferi, di cui facciamo parte, e non a caso. Ci sono poi giochi specifici, come il gioco della lotta, che per i bambini e molti altri animali è molto divertente e gratificante e non sono una espressione di aggressività come talvolta gli adulti credono. Già da queste brevi informazioni è possibile osservare la continuità fra noi e gli altri animali (anche se soltanto gli essere umani usano la Play Station!).
Esiste un circuito cerebrale del Gioco, determinato geneticamente, che promuove le esperienze positive degli animali e uomini mentre giocano; prendiamo però con le pinze le informazioni di seguito riportate, perché ci sono pochi studi sugli esseri umani per questo sistema.
Perché giocare? Molto probabilmente giocare permette ai giovani di apprendere delle abilità fisiche e sociali. Giocare ci permette di conoscere gli altri e apprendere con quali possiamo cooperare e con quali no, ci permette di conoscere la dominazione della vittoria e la sottomissione della sconfitta e di regolare entrambe. Per esempio, è molto importante comprendere quando disimpegnarsi dalla competizione, o quando lasciar “vincere” gli altri per non creare relazioni eccessivamente polarizzati sulla nostra dominanza. I ricercatori credono che il gioco sia molto importante per consolidare l’espressione comportamentale delle nostre emozioni con gli altri, sostenendo modi creativi e positivi di rispondere al nostro ambiente. Sostanzialmente, giocare ci permette di sviluppare la nostra intelligenza sociale, aiutandoci ad integrare le nostre emozioni con la comprensione di quelle altrui, con la cooperazione, la compassione, l’empatia, la solidarietà e la competizione.
Un ruolo importante è svolto dall’anticipazione. Quando giochiamo, anche soltanto l’aspettarci un movimento altrui, una possibile vittoria, una incalzante battuta, ci fa ridere. Giocare, quindi, ci permette di sviluppare la nostra capacità di anticipare le interazioni sociali future, divertendoci nel prevederle e gratificandoci nel comprenderle.
È utile sapere che il gioco accade quando ci sentiamo al riparo, sicuri e stiamo bene, non siamo presi da emozioni negative, dolori o altri bisogni corporei. In pratica, il gioco è un buon indice di salute della persona, soprattutto nei bambini. Vi invito a chiedervi: i nostri bambini giocano a sufficienza e in relazione ai loro bisogni?
I sistemi cerebrali del gioco sono stati studiati a fondo nei ratti, e possiamo aspettarci che siano molto simili negli esseri umani. Principalmente tale sistema coinvolge alcune sostanze quali la dopamina, gli oppioidi e gli endocannabinoidi, e alcune regioni cerebrali: il complesso parafascicolare e il nucleo talamico dorsomediale posteriore. È interessante notare che questi nuclei sono posti nelle regioni più antiche del cervello, e che la neocorteccia (la materia grigia esterna che siamo abituati ad immaginare quando pensiamo al cervello) non è essenziale al nostro impulso primario a giocare. Il gioco è molto più antico dell’uomo.
È molto probabile che l’infinita possibilità di giochi con cui possiamo divertirci derivi dal primario gioco della lotta, presente in gran parte dei mammiferi, che si specializza e differenzia in forme più complesse. Nei botta e risposta, i giochi da tavolo, nell’umorismo, possiamo rintracciare questa struttura di base fra chi può vincere e chi può perdere, usando armi ben più evolute.
Considerando questo, non dovrebbe sorprenderci che il tatto è il sistema sensoriale che provoca e supporta il gioca più di ogni altro senso. Sembra quindi che esistano certi tipi di contatto che promuovono esperienze affettive importanti nell’attivare l’impulso a giocare (pensiamo ad esempio al gioco del solletico o ai giochi di cucù e simili che le madri fanno con i bambini). Da questa via sensoriale probabilmente le altre si associano e concorrono a creare esperienze di gioco che possono anche non coinvolgere il tatto. Giocare è così importante che la natura ci ha dotato della cute da solletico, che negli esseri umani è posta dietro al collo e attorno alla cassa toracica.
Chiaramente, anche ridere fa parte del Gioco! Più siamo piacevolmente impegnati con gli altri, più ridiamo, anche da adulti, esprimendo gratificazione anche agli altri. Forse ci può sorprendere sapere che anche i ratti ridono, emettendo squitti ad ultrasuoni!
Un bambino che nasce e cresce in una famiglia di persone che hanno molte pubbliche relazioni, con un alto grado di attenzione alle modalità di presentarsi all’esterno o con un alto livello di giudizio per il successo in genere, potrebbe ricevere una iperstimolazione del proprio sistema del Gioco. Ciò può portare la persona ad eccedere nella ricerca della performance, del successo, del riconoscimento sociale, sviluppando ansia da prestazione ed eccessiva focalizzazione sulla vittoria che spesso risultano estremamente stressanti.
Queste persone probabilmente hanno alti livelli di dopamina e nelle situazioni di gioco e socializzazione esibiscono comportamenti seduttivi, manipolatori, eccessivi, accentratori o esagerati, non spontanei ma sempre un po’ falsi, fino al narcisismo. La carica nervosa che utilizzano le porta ad essere sempre molto attive, sorridenti e pronte alla battuta, fluide ma mai rilassate veramente, prediligono stare in giro con gli amici piuttosto che stare in casa ed occuparsi dei figli o stare con il partner. Tendono a presentare il loro aspetto migliore e normalmente reprimono le emozioni negative in società e a volte poi le scaricano in casa, spesso con toni drammatici. Sovente non riescono a godersi il piacere dell’amorevolezza e dell’affettività. Hanno problemi di salute spesso derivati da eccessivo fumo, cibo, alcool e altre droghe sociali. Nei casi più gravi l’eccesso di attivazione possono portate ad espressioni di euforia, fino agli episodi maniacali.
Per contro, un bambino con un sistema del Gioco potenzialmente vitale e attivo se cresce in un contesto familiare troppo normativo, rigido, depresso e fisicamente o culturalmente isolato, dovrà imparare ad inibire e controllare la sua energia attiva e divertente, e imparare a vivere in modo più tranquillo e limitato. Oltre un certo limite questa inibizione arriva ad abbassare la gioia di vivere, sviluppando stress e depressione. Può emergere una personalità che ha spento la giocosità passionale, che fatica a divertirsi con i compagni e a socializzare, e che mostra difficoltà relazionali. Si smorza anche il sorriso e la vitalità fisica ed emotiva. L’inibizione del gioco fisico che spesso contraddistingue la vita dei bambini nelle città, si manifesta come progressiva difficoltà a socializzare e a “giocare” nella propria vita. Nei casi più gravi di eccessiva inibizione del sistema del gioco, si possono osservare disturbi come l’ADHD, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività.